Tragelaphus scriptus

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Tragelafo settentrionale
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdineArtiodactyla
FamigliaBovidae
SottofamigliaBovinae
TribùTragelaphini
GenereTragelaphus
SpecieT. scriptus
Nomenclatura binomiale
Tragelaphus scriptus
(Pallas, 1766)

Il tragelafo settentrionale (Tragelaphus scriptus (Pallas, 1766)), noto anche come bushbuck (dal termine afrikaans bosbok, cioè «antilope della boscaglia»), è un'antilope di media taglia diffusa in Africa subsahariana nella regione sudanese e guineana. Fino a poco tempo fa, con le sue quattro sottospecie veniva classificato insieme al tragelafo meridionale (T. sylvaticus) in una specie unica, il tragelafo striato, ma le ricerche genetiche hanno dimostrato l'esistenza di due specie criptiche.[2][3]

Antilope derbiana

Antilope alcina

Cudù maggiore

Nyala di montagna

Bongo

Sitatunga

Tragelafo meridionale

Tragelafo settentrionale

Nyala

Cudù minore

Albero filogenetico dei Tragelaphini (Willows-Munro et al., 2005)

La tassonomia del tragelafo striato, e della tribù Tragelaphini in generale, è sempre stata oggetto di dibattito: occupando un areale tanto vasto, il tragelafo ha dato origine a un gran numero di varianti geografiche e nell'arco degli anni ne sono state descritte oltre 40 sottospecie. Per fare chiarezza, nel 2009 Moodley et al. hanno analizzato il DNA mitocondriale di un gran numero di campioni museali, che sono stati riconodotti a 19 gruppi distinti, alcuni corrispondenti a sottospecie precedentemente descritte, altri appartenenti a razze finora non riconosciute che sono rimaste senza nome. I 19 gruppi sono stati poi ripartiti in due grandi raggruppamenti distinti, settentrionale (scriptus) e meridionale (sylvaticus).[4]

Hassanin et al. (2018) hanno riscontrato una discordanza tra i risultati ottenuti analizzando il DNA mitocondriale e quello nucleare dei cladi scriptus e sylvaticus. Le analisi del DNA nucleare, infatti, indicano che la linea evolutiva scriptus è una specie sorella della linea evolutiva sylvaticus, mentre il DNA mitocondriale indica la presenza di aplotipi in comune con il nyala (Tragelaphus angasii). Le due specie presentano anche un diverso cariotipo (numero e disposizione dei cromosomi), in quanto quello di scriptus sembrerebbe derivare da quello del nyala. Gli studiosi sono giunti alla conclusione che T. scriptus (ma non T. sylvaticus) si era ibridato con una «specie estinta strettamente imparentata con T. angasii» in epoca preistorica, e che «la divisione in due specie di tragelafo è supportata dalle analisi dei marcatori nucleari e dal cariotipo».[5]

Il tragelafo settentrionale, essendo stato descritto prima del tragelafo meridionale con il nome Antilope scripta a partire da un esemplare proveniente dal Senegal, ha conservato il nome scientifico originario del tragelafo striato.

Areali delle sottospecie scriptus, phaleratus, bor e decula

Attualmente le quattro sottospecie riconosciute di tragelafo settentrionale sono:

Esemplare nel parco nazionale della Comoé.

Il colore del manto varia dal marrone chiaro al marrone scuro, passando per il bruno-rossastro. Le femmine e i piccoli hanno generalmente una colorazione più chiara, spesso rossiccia, mentre i maschi sono quasi sempre più scuri e diventano ancora più scuri con l'età.

Sul corpo, soprattutto sul dorso e sui quarti posteriori, corrono delle linee verticali (fino a un massimo di sette) e delle macchie bianche. La testa è spesso di colore più chiaro. Sul muso è presente una linea nera, mentre le guance e le orecchie sono screziate da una macchia bianca. Il tragelafo ha una lunga coda a pennacchio, bianca nella parte distale e nera in quella prossimale. Lungo il dorso, dalle spalle alla coda, corre generalmente una sottile striscia di lunghi peli chiari. Nel maschio il ventre è di colore scuro. Al di sopra degli zoccoli neri ci sono delle linee bianche. Le corna sono presenti solo nei maschi. Lunghe da 25 a 57 cm, sono quasi diritte, con una sola curvatura (talvolta due).

Dalla testa all'inizio della coda misura da 105 a 150 cm, con un'altezza al garrese da 61 a 100 cm e un peso compreso tra 24 e 80 kg (a seconda del sesso e della sottospecie). I maschi sono più grandi delle femmine: pesano 30–80 kg, contro i 24–60 kg delle compagne.

Il tragelafo settentrionale è un corridore rapido, capace di mantenere nella fuga un'andatura costante di 35 km/h con punte di 70 km/h su brevi distanze. È un buon saltatore che può compiere balzi anche di 2 m di altezza. È una creatura vigile dotata di udito e olfatto ben sviluppati, ma con una vista piuttosto scarsa. È un'antilope abbastanza aggressiva, che, quando avverte un pericolo, può reagire difendendosi, lanciando latrati e/o appiattendosi a terra.[10]

Distribuzione e habitat

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Il tragelafo settentrionale è una specie tipica dell'Africa sudanese e guineana ed è presente in una fascia di territorio che va dal Senegal al Mar Rosso. Vive in aree ricoperte da vegetazione, sia rada che fitta, dai boschetti alle foreste aperte e dalle foreste fitte ai canneti. Si trova a proprio agio anche nelle zone coltivate. Predilige i margini della foresta e le aree ricoperte da fitti cespugli, preferibilmente vicino all'acqua, ma può sopravvivere anche grazie alla rugiada.[4]

Due tragelafi nel Benin.

Il tragelafo settentrionale ha una dieta molto varia; nonostante sia costituita principalmente da erba, leguminose, giovani foglie e germogli, viene integrata con altri alimenti quali radici, rape, piante coltivate e frutti. Segue anche i babbuini e le altre scimmie per mangiare i frutti che queste ultime lasciano cadere. Il tragelafo è attivo sia di notte che di giorno, ma in prossimità delle zone abitate dall'uomo è attivo soprattutto di notte. Riposa nella fitta vegetazione.

Il tragelafo vive da solo o in coppia, talvolta in piccoli gruppi familiari. Il dominio vitale di un esemplare può coprire anche una superficie di 5 ettari. Queste aree spesso si sovrappongono a quelle dei loro congeneri. Il tragelafo non è territoriale. Tra i maschi esiste una gerarchia, determinata dall'età (che può essere riconosciuta dai disegni e dal colore) e dai picchi di testosterone.

Il piccolo, che nasce dopo una gestazione di circa sei mesi, resta nascosto tra i cespugli per i primi quattro mesi e dopo un anno è indipendente e adulto. Le corna dei maschi, invece, saranno pienamente sviluppate solo all'età di tre anni. Il tragelafo può vivere al massimo dodici anni.[10]

  1. ^ (EN) IUCN SSC Antelope Specialist Group. 2016, Tragelaphus scriptus, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ T. Wronski e Y. Moodley, Bushbuck, harnessed antelope or both? (PDF), in Gnusletter, vol. 28, n. 1, 2009, pp. 18-19. URL consultato il 27 febbraio 2020 (archiviato dall'url originale l'8 luglio 2011).
  3. ^ Y. Moodley et al., Analysis of mitochondrial DNA data reveals non-monophyly in the bushbuck (Tragelaphus scriptus) complex, in Mammalian Biology, vol. 74, n. 5, settembre 2009, pp. 418-422, DOI:10.1016/j.mambio.2008.05.003. URL consultato il 7 aprile 2021.
  4. ^ a b Y. Moodley e M. W. Bruford, Molecular biogeography: Towards an integrated framework for conserving pan-African biodiversity, su PLoS ONE, 2007, p. 2:e454.
  5. ^ Alexandre Hassanin, Marlys L. Houck, Didier Tshikung, Blaise Kadjo, Heidi Davis e Anne Ropiquet, Multi-locus phylogeny of the tribe Tragelaphini (Mammalia, Bovidae) and species delimitation in bushbuck: Evidence for chromosomal speciation mediated by interspecific hybridization, in Molecular Phylogenetics and Evolution, vol. 129, 1º dicembre 2018, pp. 96-105, DOI:10.1016/j.ympev.2018.08.006, ISSN 1055-7903 (WC · ACNP), PMID 30121341.
  6. ^ J. R. Castelló, Western Bushbuck, in Bovids of the Word, Princeton University Press, 2016, pp. 578-579.
  7. ^ J. R. Castelló, Central Bushbuck, in Bovids of the Word, Princeton University Press, 2016, pp. 580-581.
  8. ^ J. R. Castelló, Nile Bushbuck, in Bovids of the Word, Princeton University Press, 2016, pp. 582-583.
  9. ^ J. R. Castelló, Abyssinian Bushbuck, in Bovids of the Word, Princeton University Press, 2016, pp. 584-585.
  10. ^ a b Deborah Ciszek, Tragelaphus scriptus, su Animal Diversity Web, 1999. URL consultato il 27 maggio 2024.

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Collegamenti esterni

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